© Francesca Caregnato, 2015
Su dieci pazienti che ricevo nel mio studio otto presentano conflitti col loro padre o con la figura paterna.
S. ha avuto un buon papà fino a quando questi si è separato dalla mamma e ha deciso di costruire una nuova famiglia, dimenticandosi di S. e di suo fratello, oltre ad avere un problema di tossicodipendenza. A conseguenza delle scelte fatte dal padre, lei ha rotto i rapporti con lui per molti anni. E negli ultimi 10 anni, non è riuscita a stare senza un compagno. Finendo un rapporto ne iniziava un altro e durante una seduta mi ha detto: “Credo di non saper stare senza un uomo”. Sanare il rapporto con suo padre 7 anni dopo l’ha portata ad essere più serena, nonché felicemente single da un po’ di tempo.
Durante la sua infanzia D. ha avuto un papà alcolizzato, workaholic, aggressivo ed esigente. Quando lui ha finalmente superato la sua malattia, si è separato da sua mamma che immediatamente dopo ne è diventata gelosa, perché oltre a rimanere sobrio e quindi a lasciare le aggressioni fisiche, ha cominciato ad essere protettivo e meno esigente con sua figlia. D. adesso sta imparando a smettere di fare la mediatrice tra i due, a occuparsi di se stessa e a costruire la sua vita.
J. sta ancora vivendo le conseguenze di aver avuto una madre iper protettrice che non gli ha insegnato a fidarsi di se stesso né a sentirsi valido. Ma non aveva alternative perché durante quegli anni suo padre era in pieno alcolismo e non aveva la possibilità di adempiere al suo ruolo. Anche J. ha avuto problemi di abuso di alcolici, fino a qualche mese fa. Adesso sta maturando, e imparando ad esercitare la sua mascolinità da sobrio.
M. non ha conosciuto suo padre perché sua madre, che ha avuto i quattro figli da quattro uomini diversi, si è impegnata nel mettere loro l’idea che non era importante avere un papà e neanche che i figli sapessero chi fossero questi “signori”. Nonostante l’abbia circondata di parenti per compensare la mancanza paterna e la distanza affettiva materna, M. sta lavorando arduamente in terapia per separarsi dalla sua famiglia di origine, per credere che merita di costruire la vita che sogna e che là fuori esistono davvero uomini che si occupano dei loro figli.
N. viene da una famiglia in cui lei non identifica un solo uomo utile e valido. Anche suo padre, che lei amava profondamente, era un uomo infantile di cui si occupava la moglie, che ha vissuto la sua vita aspettando che lui crescesse e lasciasse la bottiglia. N. ha vissuto gran parte dei suoi rapporti, compresi quelli fraterni, aspettando che l’uomo di turno cambiasse e si trasformasse nell’ideale mai conosciuto ma sempre atteso.
Queste sono solo alcune delle tante storie in cui c’è un papà debole, distante o del tutto assente. Nella gran maggioranza di queste realtà e come menziona Maria Calvo nel suo libro, i padri sono stati detronizzati dalle stesse madri (Calvo, 2014).
Ma come si toglie un uomo dal suo trono di padre? Quando può succedere?
In molti modi. Quando esiste una separazione o un divorzio e grazie al fatto che le madri hanno quasi sempre assicurata la custodia dei figli, è molto frequente che queste donne trasformino la rabbia e la frustrazione dovuta alla rottura come vendetta -specialmente se questa è subentrata a causa di un’infedeltà-, mettendo i figli contro il padre.
Quando invece c’è un uomo in casa e questi vuole coinvolgersi nell’educazione dei figli, spesso succede una cosa simile a quando lo stesso uomo partecipa nei lavori di casa. Per la sua donna non lo fa mai abbastanza bene. Anzi, spesso le sta pure tra i piedi.
In queste circostanze, incompresi e spiazzati, i padri arrivano a non fidarsi più del loro istinto maschile e rinunciano all’esercizio effettivo della paternità, oppure la donna opta per prescindere della loro partecipazione. In questo modo i figli non hanno la possibilità di conoscerli a fondo, e dunque nemmeno di rispettarli o di vederli come esempio.
In questo contesto -estremamente frequente in America Latina- cerca di sopravvivere tutta una generazione di padri che non sanno bene come muoversi in una società che li obbliga a tergiversare la loro mascolinità e non gli permette di godere pienamente della loro paternità (Calvo, 2014).
In modo più diretto o più sottile, qui la donna tende a spingere l’uomo a una funzione satellite che va prendendo poco a poco sempre più distanza.
E per dirla tutta, per certi uomini allontanarsi dai loro figli è un ruolo più comodo di quello di far valere il loro diritto alla paternità.
Esistono poi coppie in cui la donna pretende che il proprio partner si comporti come una “mamma bis”, che faccia cioè le cose che farebbe lei e nel modo in cui lei le svolge.
La maniera in cui si comportano i maschi coi loro figli o come svolgono i lavori domestici il più delle volte non è per niente sbagliato. E’ soltanto diverso da come lo mettiamo in pratica noi femmine. Siamo noi che spesso imponiamo loro limiti nell’esercizio della loro paternità o del lavoro domestico condiviso.
Ci sono ad esempio madri che rinunciano a lavorare, ad andare in palestra, ad uscire con le amiche perché pensano che i loro compagni non siano in grado di occuparsi dei figli. Il fatto è che lo sanno fare, ma non come loro vorrebbero.
I maschi fanno i genitori con il proprio stile paternale.
La verità è che noi donne a volte siamo troppo esigenti, e questo modello di madre spesso dominante nei confronti del padre nuoce al bambino (Calvo, 2014).
Ma allora come possiamo affermare che avere un papà è più importante che avere una mamma?
La provocativa premessa non è per niente ovvia, ma la risposta è comprensibile.
Nella cultura sudamericana, in cui vivo, quando per qualsiasi ragione un bambino o una bambina non hanno vicino la loro madre o questa è marginale o assente, immediatamente si fanno avanti non una, bensì varie figure materne sostitute che suppliscono questa carenza: una nonna, una zia, una cugina.
E il fenomeno è assai complesso: in Messico, ad esempio, anche quando c’è una mamma fisicamente presente, sembra sempre che non basti e con frequenza si creano intorno al bambino o alla bambina una serie di “mamme extra” che rimarranno tali per tutta la vita. Non è infrequente che i bambini messicani chiamino mamma anche la nonna o la zia, ad esempio.
Nella cultura sudamericana è molto importante avere molta madre, o molte madri («tener mucha madre o muchas madres»).
Cosa succede invece quando questo bimbo o bimba non hanno il papà o questi è una figura assente o periferica? Nulla. Non subentrano figure paterne alternative come nel caso delle madri. Eventualmente un nonno o uno zio faranno da tutori morali, ma difficilmente assumeranno appieno un ruolo paterno, e sicuramente non gli sarà mai chiesto di farlo, semplicemente perché qui non viene considerato importante.
Un amico giorni fa mi disse che il Messico è un paese orfano di padre, e credo sia vero. Molti, troppi figli nascono senza papà. Molti, troppi papà abbandonano i loro figli. E molte, troppe madri allontanano i padri dai loro figli.
Probabilmente è questa la ragione per cui i messicani cercano costantemente tante figure paternali durante la loro vita: papà governo, papà presidente, papà datore di lavoro, e così via.
Il ruolo della paternità ha subito molte modifiche nella storia. È passato da un modello rigido dominante a una struttura più flessibile e ugualitaria. I padri oggi non sono solo fornitori economici, ma possono e vogliono essere anche fornitori di attenzione, di affetto e di formazione per i figli. La funzione paterna è diventata dunque una funzione affettiva, socioculturale, relativizzata dai momenti storici (Aray, 1992).
Attualmente gli uomini sono in transizione da un modello tradizionale a un nuovo modello -non finito- al quale aderirsi, e che è cambiato rispetto alla paternità dei loro genitori. Oggi il ruolo paterno è più impreciso e meno stabile di prima, e anche riguardo il ruolo della madre. Inoltre il ruolo del padre è più determinato da fattori individuali, familiari e culturali che influiscono nella sua pratica, e questo non succede con la maternità (ibidem).
In psicoanalisi ad esempio la funzione paterna funge come regolatrice del desiderio e del piacere, censurando l’incesto e la fusione madre-figlio. È dunque una funzione psico-culturale che facilita la distanza dalla parte biologica, istintiva-pulsionale favorendo l’accesso a ciò che è simbolico (Arvelo, 2000).
Oggi sappiamo che l’amore e la presenza paterna sono fattori che determinano fortemente lo sviluppo della nostra personalità. Si è studiato che l’esperienza del rifiuto paterno in età pediatrica -infanzia e fino alla pubertà- causa una forte impressione nella personalità dei bambini che più avanti diventeranno più aggressivi, ansiosi, insicuri e ostili verso gli altri (Maldonado-Durán & Lartigue, 2008).
Rispetto agli intensi sentimenti di privazione paterna che toccano l’aria emotiva del bambino, quando questo succede in famiglie disintegrate, nei bambini questo può essere osservato in un ritardo nello sviluppo globale della personalità, comportamenti antisociali, prevalenza di malattie psicosomatiche, forte dipendenza emotiva e ansia da separazione (Draper & Harpending, 1982).
Nel figlio maschio che cresce senza un padre esiste inoltre un livello cronicamente più alto di cortisolo, un indice di maggiore stress psicosociale e anche maggiore vulnerabilità a certe malattie (Maldonado-Durán & Lecannelier, 2008).
In una ricerca longitudinale di vent’anni su oltre 70 mila adolescenti adulti di entrambi i sessi (McLanahan & Sandefur, 2000; en: Chouhy, 2000), si sono studiate le seguenti variabili:
- Rischio di interrompere le scuole medie.
- Rischio di rimanere senza studiare o lavorare per periodi di tempo lunghi (idleness).
- Rischio di gravidanza nell’adolescenza.
Questo paragonando giovani che sono cresciuti con un padre versus giovani cresciuti senza un padre. I risultati ottenuti sono i seguenti:
- Il rischio di rimanere senza studiare o lavorare per periodi lunghi è più alto di un 50% per i giovani che sono cresciuti senza un padre.
- Il rischio di interrompere gli studi secondari è un 100% maggiore.
- Anche il rischio di gravidanza durante l’adolescenza è un 100% più alto.
Oltre cinquecento studi realizzati negli ultimi trent’anni (riassunti nel National Fatherhood Initiative, disponibile su www.fatherhood.org/) supportano il maggiore impatto delle conseguenze del rifiuto o assenza paterno rispetto a quello materno.
Alcuni dei risultati di questa meta-analisi mostrano che crescere senza un padre implica:
- Cinque volte più propensione ad essere poveri in età adulta
- 20 volte più propensione a disordini del comportamento
- 14 volte più propensione a violentare una persona
- 10 volte più propensione alle tossicodipendenze
- 20 volte più propensione alla depressione
- Cinque volte più propensione al suicidio
- 32 volte più propensione a fuggire di casa.
La relazione tra assenza del padre e delinquenza, inoltre, emerge da numerose ricerche. Negli Stati Uniti, ad esempio, il 70% dei delinquenti giovani, degli omicidi minori di vent’anni e degli individui arrestati per stupro o altri abusi sessuali sono cresciuti senza un padre. Nella comunità afroamericana, dove la figura paterna è virtualmente scomparsa, uno su tre minori di 25 anni è in carcere o in libertà condizionale. Da ciò si deduce che un padre assente è il miglior indicatore di criminalità in un figlio maschio (Adams, Milner & Schrepf, 1984; Anderson, 1968, Chilton & Markle, 1972; Monahan, 1972; Mosher, 1969; Robins & Hill, 1966; Stevenson & Black, 1988; Wilson & Herrnstein, 1985; Bohman, 1971; Kellam, Ensminger & Turner, 1977. Todos en: Chouhy, 2000).
La mancanza del padre costituisce inoltre un fattore di rischio per la salute mentale del figlio maschio, che presenterà maggior difficoltà per controllare l’impulsività, sarà più vulnerabile alla pressione da parte dei coetanei e, una volta ancora, avrà più problemi con la legge (Angel & Angel, 1993; en: Chouhy, 2000).
Nonostante si conosca ancora poco dell’importanza del vincolo emotivo tra il neonato e il proprio padre e che differenze determina questo nella vita di entrambi, è chiaro che il papà è anche una figura centrale per lo sviluppo fisico ed emotivo di un bambino o una bambina. A causa del diverso senso di protezione rispetto alla madre, il padre appoggia maggiormente i comportamenti del figlio rivolti alla ricerca delle novità e lo aiuta a tollerare frustrazioni dinanzi alle iniziative (Maldonado-Durán & Lecannelier, 2008).
In assenza del padre –fisica o psicoaffettiva- il rapporto madre-figlio funziona come un universo chiuso, un legame “di coppia” che si chiude in se stesso e danneggia l’equilibrio di entrambi. Dinanzi a queste circostanze, il padre non può svolgere il ruolo di separatore che appunto permette al bambino di differenziarsi dalla madre, producendo quindi un’interdipendenza madre-figlio mutua e non sana (Calvo, 2014).
Le donne per natura sono più protettive mentre il padre rispetta maggiormente la libertà e si occupa di tagliare il cordone ombelicale con la madre, cosa che apporta un gran beneficio al bambino. Ma anche alla madre, che può così godere di maggior libertà (ibidem).
Il papà funge anche da modello di identificazione maschile per i bambini e di differenziazione per le bambine. La disponibilità e vincolo paterni hanno un effetto modulatore dell’aggressività nei maschi, dovuto in gran parte al fatto che nell’esercizio della paternità l’uomo propone un modello di comportamento culturalmente più appropriato (ONU, 2011).
Per le femmine invece, la presenza del padre si riflette in una maggior sicurezza in se stesse, minori livelli di comportamenti sessuali a rischio e una minor difficoltà a sviluppare mantenere rapporti sentimentali.
Davanti alla mancanza di un esempio adeguato da parte di un padre responsabile, il figlio maschio non ha chi copiare nei suoi ruoli e alla femmine manca un modello di riferimento per la scelta di un futuro compagno. Entrambi tenderanno a perpetuare la sindrome del padre assente creando un circolo vizioso generazionale e intergenerazionale. Il dolore del rifiuto inoltre si riflette in età adulta come una difficoltà per rapportarsi in modo sicuro e con fiducia con il proprio compagno o compagna (Pérez, 2012).
Nel figlio senza padre si osserva un’eterna nostalgia per un rapporto mai avuto con quel padre. Rappresenta una sorta di agenda inconclusa che continuerà a inseguire durante la vita in maniere diverse, a seconda del modo in cui ha vissuto questa mancanza (Polasek, 2012).
L’assenza reale o fisica del padre ripercuote direttamente anche nella madre che si vedrà obbligata esercire oltre alla materna, anche la funzione paterna, non sempre con successo. Una madre con più ruoli da svolgere, e magari per questo più ansiosa, depressa, sola e talvolta con risentimento a causa della separazione dal compagno, non è nelle migliori condizioni per sostituire il padre nella sua funzione e presenterà difficoltà per non incorrere in comportamenti che promuovono una sorta di fusione, iper protezione ed erotizzazione verso i figli (Arvelo, 2003).
I maschi e le femmine di un padre che garantisca loro sicurezza, è presente e si confronta con sensibilità significano per loro nel futuro meno problemi emotivi e di comportamento. Questi ragazzi sapranno muoversi meglio nei rapporti con i coetanei, avranno più iniziativa, una migliore autostima e migliori rapporti di coppia da adulti.
I bambini e le bambine che hanno un papà presente, inoltre, ottengono migliori risultati accademici e hanno un miglior posizione economica nel futuro (Brotherson & White, 2005).
Naturalmente la sola presenza del padre non è garanzia di un esercizio adeguato della funzione paterna. Così come l’assenza del padre non necessariamente genera squilibri psicologici importanti, ma non è meno vero che questa implica un fattore fondamentale nello sviluppo della personalità di bambini e adolescenti.
Esempio oggi si sa che un bambino con più di una figura con cui vincolarsi, cioè più di una persona che si occupa di lui e lo fa sentire amato, è un bambino che cresce con una base più solida per affrontare la vita (Morales, ?).
E’ importante sottolineare questo quando parliamo di omogenitorialità, le cui ricerche portano informazione confortante rispetto al sano sviluppo del bambino o della bambina in molteplici aspetti. Inoltre, nelle coppie del medesimo sesso è più frequente che uno dei due eserciti un ruolo più materno e l’altro un ruolo più paterno. Nello sviluppo psicoemotivo di un bambino o di una bambina si è visto che questo produce risultati simili a quelli di una coppia eterosessuale.
Uno studio realizzato in Cile (Errecart, Stoulman & Villagra, 1989) indica che è la disponibilità paterna più che la sua assenza o presenza fisica, ciò che determina che si costituisca un adeguato modello di identificazione per il figlio.
Le alterazioni dell’identità sessuale nei figli di un padre assente non si manifestano in comportamenti effeminati: questi bambini si mostrano maschili e si è osservato che addirittura compensano questi tratti. Le autrici di questo studio sostengono che l’assenza paterna in età giovane va oltre l’aspetto comportamentale.
In questa ricerca si è osservato che i bambini di padri assenti mostrano rapporti interpersonali alterati a causa della presenza di simbiosi e dipendenza specialmente della madre, con sentimenti di minaccia di perdita dell’oggetto amato, angoscia di separazione e poca fiducia di base (ibidem).
Tutto questo genera nei figli uno scontro con il mondo carico di ambivalenze; aggressivo da una parte, ma allo stesso tempo con un forte sentimento di inferiorità. Rispetto all’autoimmagine, le autrici hanno ritrovato nei bambini di padre assente un’immagine di se stessi parziale e ambivalente, una forte tendenza a sentimenti di inferiorità e indifesa, così come un mondo interno carico di oggetti negativi e ostili (ibidem).
Una paternità attiva e responsabile risulta quindi un grande investimento per la vita, specialmente per quella dei figli. Ma non solo.
I papà oggi non sono gli unici fornitori economici della famiglia, e nemmeno possono e devono smettere di essere fornitori affettivi. E la possibilità di svolgere questo ruolo appieno dipende in gran parte dalla loro compagna.
Il vincolo e l’attenzione da parte dell’uomo sono importanti nella vita sia delle madri che dei bambini (ONU, 2011). È dunque necessario recuperare il significato dell’autorità paterna.
Paradossalmente, e nonostante l’evidente importanza, la necessità di promuovere una paternità responsabile non è una delle priorità delle politiche sociali in America Latina. Anche se questo sta cambiando. In Messico, ad esempio, le aziende oggi possono concedere alcuni giorni di licenza per i papà affinché condividano la responsabilità del figlio appena nato con la madre (Rivera Romero, 2012).
Per esperienza, credo che non sia mai troppo tardi per cercare di sanare il rapporto con un padre. Ma non lo è neanche per tentare di ricostruire un rapporto con i propri figli.
Ciò che invece non è reversibile è una scelta sbagliata del compagno o compagna con cui procreiamo, scelta che non può essere concepita solo in base ai propri desideri, alle aspettative e alle soddisfazioni del momento presente.
La scelta consapevole e responsabile di un compagno o di una compagna implica che se decido di avere figli , diventa fondamentale osservare l’altra persona, ottenere informazioni, analizzarle, guardare verso il passato personale familiare e verso il futuro.
Questo permetterà di avere in mano elementi concreti che possano far prevedere se questa persona potrà essere un buon padre o una buona madre, e soprattutto se insieme potremo condividere una genitorialità, indipendentemente dal nostro futuro come coppia.
Il mio desiderio è che siano sempre di più le donne che permettano, promuovano e includano attivamente i loro compagni in un esercizio libero della paternità.
E che siano molti di più gli uomini che esercitano e fanno valere in modo attivo e responsabile il loro diritto di papà.
Perché se l’uomo perde, perdiamo tutti (Calvo, 2014).
BIBLIOGRAFIA
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